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Enogastronomia
Il territorio comunale di Gradisca d’Isonzo si estende nella parte orientale della pianura friulana e anche qui, come in tutte le aree pianeggianti e fertili, si sono particolarmente sviluppate le attività legate alla coltivazione della terra. Per molti secoli la vita dei campi ha imposto i suoi ritmi a tanta parte della popolazione, forgiandone le abitudini e le tradizioni alimentari. Ma anche le vicende storiche di questa zona, che si è trovata, più volte, lungo qualche linea di confine e che ha subito l’alternanza di diverse dominazioni ed il passaggio di tanti eserciti, hanno lasciato tracce indelebili nelle tradizioni gastronomiche.

Già in “De re coquinaria”, la principale fonte superstite sulla cucina dell’antica Roma, si nominavano le “pulsae iulianae”, cioè le polente, che allora si basavano prevalentemente sulla farina di farro e che, con il tempo, conobbero altri cereali come miglio, avena e segale.
E la stessa fonte cita anche le rape conservate nell’aceto misto a miele e con l’aggiunta di bacche di mirto.

Ancor’oggi la polenta (ora di mais) e la brovada, cioè le rape grattuggiate e macerate nella vinaccia, sono due tipiche preparazioni della cucina friulana particolarmente diffuse in tutta la zona, così come diffusa è la minestra di orzo e fagioli e la jota, un minestrone di probabile derivazione carno-celtica, fatto di cappucci acidi, patate, fagioli e irrobustito dalle cotenne di maiale.

E dal maiale derivano anche altri prodotti tipici di questa cucina di matrice contadina, come il lardo, che, tagliato in sottili fette, insaporisce i crostini caldi, o come il muset, il cotechino, che nella stagione fredda accompagna quasi sempre la brovada. Tradizioni rustiche e popolari si manifestano pure nella preparazione della panada, una minestra che utilizza il pane raffermo o nel brut brustulat, che insaporisce le minestre, ricorrendo alla farina fritta nel grasso di maiale.

Dalla cucina multietnica degli Asburgo provengono gli gnocchi di patate, di derivazione boema, compresi quelli con il ripieno di susine o albicocche, conditi con burro fuso e cannella.
Di ispirazione austro-boema e con un nome che trae origine dal termine sloveno “guba”, cioè piega, è la gubana, un dolce di pasta lievitata e farcita con frutta secca, uva passa, spezie insaporite nel liquore, che viene avvolto su se stesso a forma di chiocciola. Varianti della gubana e diffuse su tutto il territorio sono anche la putizza, sempre a pasta lievitata, farcita e arrotolata a spirale, nonché il presnitz, una sfoglia ripiena e di forma circolare, creato per celebrare la presenza della principessa Sissi al Castello di Miramare. 

L’uso della ricotta, sia nello struccolo di spinaci e ricotta, sia nello struccolo di ricotta e uvetta, risente invece dell’influenza ungherese. E di origine ungherese è anche il robusto gulasch.
Di provenienza austriaca sono le patate “in tecia”, rosolate in padella con la cipolla, in uso nella cucina dell’esercito asburgico, nonché le minestre in brodo con gli gnocchi di semolino o di pane. Tra i dolci di derivazione austriaca, sono sicuramente molto noti i krapfen, ma anche altri dolci come il kugelhupf o la torta Sacher. Forse nella forma a mezzaluna dei kipfeln, che si ritrovano sia nella versione dolce, che in quella salata, si riconosce la tradizione turca, mediata dall’influenza austriaca.

Dalla tradizione veneta derivano i “risi e bisi” e i dolci fritti di Carnevale, come “fritole” e crostoli, nei quali, alcuni riconoscono qualche influenza della cucina ebraica. Da Venezia sono giunte anche diverse creme, come lo zabaione e dalla costa deriva sicuramente l’uso del pesce, in tutte le sue varianti fatte di zuppe e brodetti.

Il tronchetto di Natale o “roulade” è un retaggio derivante dal passaggio dei francesi. Alle campagne napoleoniche si deve anche la diffusione delle preparazioni dolci a base di zucchero. Furono infatti dei chimici francesi a determinare un metodo che consentì di ricavare lo zucchero, fino ad allora estratto dalla canna, anche dalle barbabietole nostrane. Ciò accadeva proprio durante l’embargo subito dai francesi, che aveva determinato il blocco delle importazioni di canna. L’applicazione su larga scala di tale metodo, determinò il crollo del prezzo dello zucchero, che, di conseguenza, fu utilizzato da una più ampia parte della popolazione.

E dunque, in questo territorio, tradizioni aristocratiche provenienti dalla cucina mitteleuropea degli Asburgo, nonché da quella della Serenissima, si fondono con le più autoctone tradizioni contadine, dando così origine ad una variegata gastronomia, dove il vino locale, già apprezzato dagli antichi Romani, fa da comun denominatore.
In particolare la fertile pianura gradiscana produce vini che rientrano nella doc “Isonzo del Friuli”, di cui, tra i rossi, il robusto Cabernet, il fragrante Merlot e il corposo Refosco, e tra i bianchi, il Pinot.
Ma la gastronomia locale si arricchisce anche con i vini bianchi provenienti dalla vicina zona doc del Collio, come il Tocai friulano, il Sauvignon, la Malvasia istriana, il Pinot bianco e grigio, la Ribolla gialla, nonché il prestigioso Picolit, il vino della grande nobiltà europea e, insieme a questi “flaconi di territorio”, diventano ancor più importanti gli incroci di gusti e sapori, tipici di questa zona.

[testi di Orianna Furlan]